Rivoluzione Liberale

Editoriali,articoli e rassegna stampa di cultura liberale.

Wednesday, January 10, 2007

Non abusare della parola riforma


Il premier Romano Prodi, a chi, nella sua maggioranza, gli chiede d’affrontare ora, senza dilazioni, i problemi aperti, ha affermato che, per le riforme, ci sono cinque anni di tempo e che i governi seri lavorano su questo orizzonte. Si potrebbe obbiettare che ci sono casi in cui questo metodo ha poco senso. Ad esempio, il problema della riforma della scala mobile, che Craxi si trovò a fronteggiare, nei primi anni 80, non era risolvibile coi tempi lunghi. E certe liberalizzazioni ormai non possono più attendere. Tuttavia, è vero che, in certi casi, i tempi del riformismo possibile non sono immediati. Occorre seguire l’indicazione di Popper, per cui le riforme vanno attuate con una strategia gradualista “piecemeal”, per renderle compatibili con i problemi pratici di funzionamento. Ma ciò che accade ora è diverso. Vengono chiamati “riforme” dei provvedimenti d’ordinaria amministrazione. Di tale natura sono i due problemi, in cui il governo attuale s’è impelagato, per le pensioni: quello del cosiddetto “scalone” e quello dell’adeguamento dei parametri riguardanti il “rendimento” dei contributi via via versati, ai fini del calcolo delle future pensioni. Lo “scalone” è stabilito da una legge. Al riguardo non c’è niente da riformare. Si tratterebbe solo di applicare la norma. Quanto al calcolo dei rendimenti dei contributi per le future pensioni, che sono collegati alla crescita del pil e alla durata della vita media, la riforma Dini, varata alla fine del 1995, li aveva sovrastimati, per agevolare il consenso dei sindacati, che avevano, in precedenza, scioperato contro questa riforma, quando essa era di Berlusconi. Si era, così, stabilito, nella legge, che i parametri sarebbero stati riveduti, in base ai dati effettivi, dopo un decennio. Questo è scaduto nel giugno 2006. Ora si tratta di prendere atto di indici oggettivi, che non comporterebbero una discussione politica. Anche per la Tav Torino-Lione su cui il governo non sa come decidere, il termine “riformismo” è inapplicabile. E lo stesso per la controversia fra Di Pietro e Bruxelles, per il caso Abertis-Autostrade. A meno che si voglia definire come “riformista” la sua politica di blocco al capitale estero in Italia, in contrasto con le regole di libero mercato europee.

From "Il Foglio", January 9, 2007

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