Letizia e sicurezza in piazza a Milano
La manifestazione milanese per chiedere al governo un intervento più consistente per difendere la città dalla violenza è stata definita “inopportuna” da Romano Prodi, che aveva invece parlato di altre manifestazioni, di orientamento estremistico, come del “sale della democrazia”. La metropoli lombarda si sente abbandonata, rivendica il grande contributo quantitativo e qualitativo che fornisce alla crescita del paese, ma conteggia anche quanto avaro sia lo stato nei suoi confronti. Letizia Moratti chiede più poliziotti, non trasferimenti di reddito o finanziamenti senza ritorno per opere faraoniche. Chiama i cittadini a sostenere questa sua civile richiesta perché ci crede, crede che sia giusta e crede che la mobilitazione serena ma ferma dei cittadini possa essere uno strumento per ottenere che il governo risponda. Le malcelate espressioni di invidia dei suoi colleghi, dal sindaco di Venezia a quello di Torino, dimostrano che ha ragione. La richiesta di sicurezza è la più diffusa, non solo nelle grandi città, dipingerla come una pulsione autoritaria o addirittura reazionaria, come fanno metodicamente gli esponenti della sinistra estrema, ma non solo, non è tanto un errore, è la prova di uno strabismo che impedisce loro di riconoscere il popolo in nome del quale dicono di battersi. Se la risposta del centrosinistra a questa domanda di sicurezza consiste nell’abolizione dei centri di permanenza temporanea per gli immigrati clandestini (introdotti peraltro da Giorgio Napolitano) e nella legislazione permissiva sulle droghe, è evidente che essa va contro il sentimento popolare. Esprimere la protesta in modo ordinato, dietro il gonfalone della città e attorno alle sue autorità elettive, è il modo più civile e composto per opporsi a ciò che si ritiene sbagliato e pericoloso, senza concedere nulla allo spirito della pura agitazione. La difesa della sicurezza, la lotta contro la violenza criminale non può e non deve essere lasciata a frange estremiste che la strumentalizzano, Letizia Moratti l’ha capito, Romano Prodi no.
From "Il Foglio"
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