Rivoluzione Liberale
Editoriali,articoli e rassegna stampa di cultura liberale.
Saturday, March 24, 2007
Thursday, March 22, 2007
Delirio di onnipotenza
Wednesday, March 21, 2007
Governo a zig - zag di Luca Ricolfi
Un anno fa, in piena campagna elettorale, quando i conti erano ancora in profondo rosso, il centro-sinistra aveva promesso la riduzione del cuneo fiscale a lavoratori dipendenti e imprese entro un anno (10 miliardi di euro), l’abolizione del cosiddetto scalone (9 miliardi di euro) e soprattutto di non aumentare le tasse. Invano alcuni studiosi avevano fatto notare che nella migliore delle ipotesi si poteva sperare di aumentare i salari più bassi e che il primo problema di un eventuale governo di centro-sinistra sarebbe stato il debito occulto delle grandi opere (più di 10 miliardi all’anno secondo i calcoli dell’Osservatorio del Nord-Ovest). Questo succedeva fra gennaio e marzo del 2006, quando ancora pochissimo si sapeva del favorevole (e imprevisto) gettito fiscale di quegli stessi mesi.Poi, ad aprile, l’Unione vince le elezioni e fa mostra di scoprire - improvvisamente - che la situazione dei conti pubblici è drammatica, e quindi tutte le promesse vanno riviste (o «rimodulate», come piace dire ai politici quando non hanno il coraggio di raccontarci la verità). Il governo incarica un’apposita Commissione di fare luce sullo stato dei nostri conti: è la famosa due diligence, che dovrebbe mettere a nudo la catastrofica eredità di Tremonti. E qui succede qualcosa di davvero notevole, mentre i quotidiani si riempiono di titoli che sottolineano il «boom delle entrate fiscali». La Commissione e il governo, anziché rivedere in senso ottimistico le previsioni sul deficit ereditate da Tremonti (3.8% del Pil), fanno esattamente il contrario e le rivedono in senso pessimistico: secondo la relazione finale presentata al ministro dell’Economia, il deficit del 2006 non si sarebbe fermato al 3.8% ma sarebbe salito a un livello compreso fra il 4.1% e il 4.6% (ora sappiamo che, alla fine della storia, il deficit del 2006 risulterà appena del 2.4%, al netto delle una tantum). Questa visione, inspiegabilmente pessimistica, viene pienamente recepita nel Documento di programmazione economica di luglio, e fornisce la base per la «stangata» che attende gli italiani con la Finanziaria del 2007. Poiché le divisioni della maggioranza non consentono di incidere in modo apprezzabile sulla spesa pubblica né di ridurre gli sprechi, e inoltre ogni ministro reclama risorse per le proprie politiche, comincia il grande dietro-front: il problema pensioni viene accantonato, la riduzione del cuneo fiscale alle imprese viene attenuata e dilazionata (sarà a regime solo nel 2008), i famosi 350 euro in più in busta paga affluiscono nelle tasche di appena 1 lavoratore su 4, la pressione fiscale complessiva aumenta. A gennaio di quest’anno, di fronte a un boom delle entrate che continua, quasi tutti hanno capito che con la Finanziaria 2007 si è esagerato e che la pressione fiscale è stata portata a un livello pericoloso, che rischia di strangolare quel poco di ripresa che il 2006 ha regalato all’Italia. Nonostante tutto ciò, e a scanso di equivoci, il ministro dell’Economia non perde occasione per ribadire che di riduzione della pressione fiscale non si parla prima del 2009.Ma non è finita. Tra febbraio e marzo i nostri governanti cambiano di nuovo idea: forse abbiamo esagerato, forse abbiamo spremuto un po’ troppo gli italiani. C’è un bonus fiscale, ci sono quattrini da ridistribuire (una decina di miliardi). Nel giro di pochi giorni sul tavolo del governo affluisce ogni genere di richiesta, compresa quella di abolire l’Ici sulla prima casa. Un provvedimento tutt’altro che insensato, ma che appena un anno prima - annunciato da Berlusconi in chiusura della sua campagna elettorale - era stato oggetto di un impressionante fuoco di sbarramento, con la Cgil che dichiarava che avrebbe favorito «ancora una volta i ricchi» e Prodi che, con il consueto fair play, si appellava all’intelligenza degli italiani: «Gli elettori non crederanno mica alle balle».A questo punto della storia la rotta è di nuovo cambiata. Grazie all’ipotesi di abolizione dell’Ici si ricomincia a parlare di riduzione delle tasse, forse già dal 2007. Nessuno si sbilancia più di tanto, ma il tabù è caduto. Persino il ministro Padoa-Schioppa, che fino a poche settimane fa escludeva qualsiasi riduzione delle aliquote prima del 2009, prende ora in seria considerazione l’ipotesi di ridurre le imposte sulle imprese, per favorire lo sviluppo e attrarre investimenti stranieri. Niente più abolizione della tassa sulla casa (Ici), dunque, ma riduzione progressiva dell’imposta sulle società (Ires), una delle più alte dell’eurozona.Non passano ventiquattro ore da queste caute aperture del ministro dell’Economia e il presidente del Senato non resiste alla tentazione di dire anche lui la sua: le tasse vanno sì ridotte (ma non le avevate appena aumentate?), e tuttavia non basta farlo per le imprese, occorre farlo anche per le famiglie. Domani, con quasi tre mesi di (ulteriore) ritardo sugli impegni presi a suo tempo, partirà il cosiddetto «tavolo sulle pensioni», che doveva finire i suoi lavori alla fine di marzo (per i dettagli vedi la nuova rubrica «Conto alla rovescia» a pagina 35). Vedremo quali altre sterzate ci attenderanno nelle prossime settimane, anche in vista delle elezioni amministrative di maggio (più di 10 milioni di cittadini al voto). Il governo, naturalmente, ha tutto il diritto di decidere su che rotta vuole condurre la barca dell’Italia. Può fare come la Merkel (caute riforme del Welfare più sgravi fiscali alle imprese), può fare come ha fatto fin qui (più tasse e più spese), può fare come aveva promesso (riforme, meno sprechi, meno tasse), può persino inventarsi una politica economica completamente nuova. Però deve dircelo, deve farci capire dove siamo diretti. Non soltanto perché, dopotutto, è ai cittadini che un governo risponde, ma perché l’incertezza, i segnali contraddittori, i falsi annunci, il continuo dire e contraddire, fare e disfare - insomma questo continuo governare a zig-zag - danneggiano l’economia del Paese e deprimono il morale delle persone.
Tuesday, March 20, 2007
Il nome della legge di Pietro Ichino
Intervista a Silvio Berlusconi
From: "La Stampa", March 21, 2007
Saturday, March 17, 2007
La gara di Montezemolo
Segolene Royal ed i futuri rapporti Usa - Francia
In just over two months, French voters will elect their next president. This election will be critical to the future of France domestically and to its standing in the world. France has lost significant economic and political power over the past decade and needs reform and reinvigoration. The new president must also seek to repair frayed ties with Washington. It is highly doubtful that this would happen under Ségolène Royal.
Royal, the Socialist presidential candidate has outlined a 100-policy presidential pact "for France to rediscover a shared ambition, pride, and fraternity."[1] Royal is frequently touted as the face of change, a breath of fresh air, a new start for France. But almost the opposite is true: Royal represents the status quo. She graduated from the École nationale d'administration, the institution that has bred an entire class of French political elites; she is instinctively protectionist and virulently anti-globalist;and in true Gaullist spirit, she is no friend of America.
Royal's Foreign Policy
A series of diplomatic blunders have left an indelible bad impression of French foreign policy under a Royal presidency.
In trips to the Middle East, the Far East, and South America, Royal could do no right on the diplomatic front. During her high-profile five-day Middle East trip in December, not only did she fail to react when Hezbollah legislator Ali Ammar compared Israeli actions in Lebanon to Nazism, but she even thanked him for "being so frank" when he described U.S. foreign policy in the Middle East as "unlimited American insanity."[2] Matched with other serious errors of judgment--such as praising China's justice system and calling for independence for Quebec[3]--Royal has lurched from one crisis to another in foreign affairs. As BBC correspondent Clive Myrie observed, "Segolene Royal's campaign has suffered a series of self-inflicted wounds."[4]
It is highly unlikely there would be a thaw in U.S.-French relations under a Royal presidency. In what can only be described as an opportunistic attack inspired by pure anti-Americanism, she pointedly criticized her closest rival for the presidency, Nicolas Sarkozy, during his successful trip to Washington in September 2006. "My diplomatic position will not consist of going and kneeling down in front of George Bush," Royal told the press.[5]Last month, she again harkened back to deep anti-American sentiment, condemning Sarkozy as a "clone of Bush" and "an American neo-conservative carrying a French passport."[6]
Royal continues to snipe from the sidelines about Operation Iraqi Freedom and advocates America's withdrawal from Iraq.[7] She believes that decisions about Iraq's transition should be made solely by the Iraqi government, barely concealing her implicit criticism of American involvement in the region.[8] During her keynote manifesto speech outlining her presidential platform, she not only acknowledged the divisions caused by France's vocal opposition to the war in Iraq, but even pledged to speak "louder and stronger."[9]
She has also made diplomatically crass comments about President Bush. "I do not mix up Bush's America with the American people," she has said. "The American people are our friends."[10]
Royal was scheduled to visit Washington in December 2006 but postponed the visit because she needed more time to "finalize the programme."[11] In reality, Royal has alienated not just the current U.S. administration but even natural allies such as Senator Hillary Clinton (D-NY).[12] It is therefore highly unlikely that there will be a Royal visit to Washington of any consequence before the French elections.
It is difficult to imagine a Royal presidency being anything other than a recipe for tense transatlantic relations. Royal's damaging international trips, matched with her failure to mend fences in Washington, are a realistic indication of what a Washington-Paris axis would look like under a Royal presidency.
Royal and the European Union
Royal's dedication and commitment to further European integration are hallmarks of her political inclinations. In her presidential pact Royal calls for a "reconstruction of a political Europe,"[13] and like French leaders before her, she is deeply wedded to Brussels' integrationist, protectionist, and interventionist policies. She believes that a full and enhanced EU constitution should proceed, including those elements inimical to American strategic interests, such as a Common Foreign and Security Policy, a single EU Foreign Minister, and an independent military procurement policy.
In fact, Royal's anti-Americanism drives her European policy as much as her enthusiasm for Brussels. A key motive for backing the European Constitution is to counterbalance what she sees as "the American hyperpower."[14]The Socialist Party campaigned in favor of the European constitution with the slogan "A strong Europe to face up to the USA."[15] In line with Gaullist thinking, Royal sees the European Union as a competing power to the U.S., not a complementary ally. With the European constitution's lengthy policy prescriptions and deep centralization of foreign policy, Royal sees it as a way for France to project its power counter to the aims ofthe United States.
Tied into this, Royal has also weighed in on the U.S.-U.K. Special Relationship. Through her spokesman and foreign affairs adviser, Gilles Savary, she launched an astonishing attack on the U.S.-U.K. alliance in November in an interview with The Daily Telegraph, demanding that Britain chooses between being "vassals of the United States" or a fully integrated member of a highly centralized European Union.[16] Savary's comments amount to a major affront to the sovereign foreign policymaking of a European ally and illustrate the deep-rooted anti-Americanism driving Royal's European policy.
The French Socialists are pushing an agenda in Europe that represents a strategic threat to the United States. The Royal vision for the European Union would make Brussels a rival to America, rather than a partner. In contrast to the European vision outlined by Margaret Thatcher at Bruges in 1988, Royal wants an E.U. based on deeply integrated foreign and defense policies. This represents a major threat to America's future coalition-building prospects and an immense challenge to constructive transatlantic foreign relations.
Conclusion
As a major power in Europe and a medium-sized global power, it is in France's interest to adopt a less combative and more conciliatory stance toward the United States. But as a committed Socialist and darling of the Left, Royal would steer a status quo course for French politics that would continue the disintegration of the Franco-American relationship and put even more distance between the Elysée Palace and the White House.
For France to be heard in Washington, the French government must adopt a new approach. This would not happen under Ségolène Royal. She has shown neither the desire nor the ability to craft a credible, conciliatory approach to rebuilding the French-American alliance and has undertaken to make Brussels, with France at the forefront, a rival power player to Washington.
Friday, March 16, 2007
Non fumare come la Turco
Thursday, March 15, 2007
Letizia e sicurezza in piazza a Milano
Monday, March 12, 2007
Forza Rudy!
Friday, March 02, 2007
La falsa via del berlusconismo di Elio Antonucci
Lo scorso gennaio si è tenuto a Roma il convegno sul berlusconismo, organizzato dalla Fondazione Liberal. Si è discusso della figura del Cavaliere, del politico e dell’interprete migliore della società che cambia. Ma si è anche parlato di “berlusconismo”, termine, a dire il vero, già usato da diversi anni a questa parte per indicare un preciso approccio alla res publica. Come tutti gli “ismi” anche il berlusconismo dovrebbe esser preso sul serio e considerato senza pregiudizi e con un minimo di realismo. Sempre che si possa discorrere di un simile fenomeno o, come ritengo, non si stia proponendo una vistosa forzatura.
La politica italiana vive di luoghi comuni ed uno di questi è senza dubbio il Berlusconi “non politico” o addirittura inteso come “antitesi della politica”. Ma cos’è un politico? Letteralmente significa “colui che si occupa della pòlis”, cioè chi governa una città o, per esteso, una nazione. Secondo la sinistra e, a dire il vero, ampi settori del centrodestra, Berlusconi non è un politico perché non viene dalla politica politicante, perché è un nuovo arrivato rispetto ai signori che si occupano di tali cose da una vita, perché il suo eloquio non è tecnicamente perfetto come quello di un Fini o altezzoso come quello di un D’Alema o noioso come quello di un Bertinotti. Berlusconi non è un politico punto e basta. La prova provante sta nel fatto che coloro che predicano l’antipolitica del Cavaliere in realtà non ne sanno dare un’altra definizione. Una definizione che sia, cioè, più argomentata, profonda e, soprattutto, dimostrabile.
Politico significa essere portatore di idee, rappresentante di classi sociali, artefice del consenso, governante. Berlusconi rispetta tutti questi quattro parametri. Anzitutto la piattaforma ideologica. Il più grande merito del leader della Cdl è stato quello di raccogliere quasi in toto l’eredità del pentapartito e di integrarla a quella del vecchio Msi. Berlusconi oggi rappresenta la fusione tra la cultura liberale e modernista delle classi più avanzate del nord Italia e quella ancora conservatrice e tradizionalista del meridione. Il risultato di tale stupefacente sintesi politica è il consenso che gli deriva, quando perde le elezioni, dalla metà degli italiani e, quando vince, dalla stragrande maggioranza del popolo. Dati alla mano,infatti, il centrodestra dal 1994 ad oggi non è mai stato minoranza in questo Paese. Il carisma indiscusso e inimitabile di Berlusconi ha notevolmente contribuito a questo successo. Il Cavaliere ha presieduto l’esecutivo più lungo della storia repubblicana e, comunque la si pensi, ha governato. Bene o male, a seconda dei punti di vista. Ma Berlusconi oggi rappresenta l’unico politico italiano nel vero senso della parola. Un fenomeno difficilmente ripetibile e che apre inquietanti scenari sul futuro dell’Italia e del bipolarismo.
“Berlusconismo” infatti dovrebbe rappresentare un movimento politico, uno stile di governare, una filosofia di vita. Tuttavia il popolo di centrodestra non è berlusconizzato, che la sinistra ne dica. Sono abbastanza vicino agli ambienti di Forza Italia per sapere di cosa si sta parlando. E posso dire a voce alta e senza tentennamenti che sono il pregiudizio, la malafede ed una buona dose di invidia sociale miscelate ad un rancore profondo a spingere gli opinionisti e le masse progressiste a fare certe asserzioni. Il centrodestra è interclassista anzitutto, ma è soprattutto una miscela delle ideologie più importanti del nostro Paese: la cattolica, la liberale, la federalista, la nazionalista e la socialista. Ideologie, si badi bene, esistenti da almeno due secoli a questa parte e di certo non introdotte da Berlusconi. Il Cavaliere ha semplicemente amalgamato popoli in passato distanti tra loro (talvolta in aperta contrapposizione) ma uniti da due comuni denominatori: l’antistatalismo e l’anticomunismo. La somma ha dato l’attuale Casa delle Libertà. Come si può verosimilmente pensare che metà e più degli italiani sia berlusconizzata? Come la si può considerare così acefala?
Un altro dei luoghi comuni della politica italiana è quello di ritenere ignorante chi vota per Forza Italia. Se lor signori avessero studiato meglio il Paese, fatto indagini statistiche degne di tal nome si sarebbero accorti della fallacità di queste convinzioni.
La sinistra italiana vive una sorta di complesso berlusconiano. Anzi, paradossalmente si può affermare che sia la sinistra ad essere berlusconizzata. E’ un rapporto morboso quello che ha con il Cavaliere, così morboso da mandarla nel pallone ad ogni minima assenza dalla scena del signore di Arcore o per ogni suo malore. “Dio salvi Berlusconi” recitava l’editoriale di prima di Liberazione, all’indomani dell’episodio di Montecatini a testimonianza di come il leader del centrodestra sia indispensabile per la sopravvivenza politica della sinistra, in quanto unico fattore unificante. La coalizione progressista oggi soffre di una grave forma di miopia. Non capisce che l’Italia che produce, l’Italia che lavora, l’Italia più avanzata culturalmente, l’Italia che vuole il progresso, l’Italia orgogliosa dei propri valori e delle proprie tradizioni, l’Italia dei nostri padri e quella del futuro vota per Berlusconi. Vota Berlusconi non perché berlusconizzata ma perché Berlusconi è l’unico che ha la capacità politica per dar loro voce ed indicare una via. Questo obiettivamente non si traduce in una reale capacità di soddisfare tutte le su citate aspettative ma per questa Italia il Cavaliere rappresenta il male minore, convinta, e non a torto, che “Berlusconi non farà i miracoli che promette, ma di certo non ci danneggia”. E’ questa la chiave di volta. Fino a quando la sinistra non si sdoganerà dal complesso del berlusconismo non riuscirà a fare quel salto di qualità necessario per recuperare consensi in quell’Italia che è la parte migliore del Paese.
Il 2 dicembre 2006 a Piazza San Giovanni questa Italia, rinnegata dalla sinistra e celata dai sondaggi di parte, si è materializzata. La manifestazione più grande dal dopoguerra, 2200000 di operai, impiegati, artigiani, commercianti, imprenditori, studenti, anziani e famiglie intere. Il popolo anticipa sempre la politica ed anche questa volta è successo. Gli italiani hanno invitato i leader della Cdl a marciare uniti, a credere nel progetto del Partito delle Libertà e vincere le elezioni. Quel popolo per quanto interclassista e ideologicamente vario oggi è un mare indistinto, agitato da proposte, progresso ed innovazione. Berlusconi ha raccolto l’eredità del passato e ne ha ridato dignità politica dopo l’incubo giustizialista di Tangentopoli. Oggi non esiste alcun berlusconismo, ma un popolo di centrodestra avanti anni luce da Fini, Casini e compagnia cantante.
Chi parla oggi di berlusconismo danneggia il popolo delle libertà. E’ una falsa via da non perseguire per non disperdere il lavoro fatto in quasi 15 anni di storia moderna. La gente chiede il partito unico ed è questa la differenza con la sinistra. Là il Partito Democratico lo calano dall’alto senza alcuna piattaforma ideologica e Mussi ha ragione da vendere quando parla di “inconsistenza” della proposta. Il centrodestra oggi grazie a Berlusconi è un unicum animato dalle stesse aspettative. Compito della classe dirigente del futuro sarà quello di proseguire in quest’opera unificatrice nel solco della tradizione popolare europea. Agli elettori della Cdl non interessano né il dibattito sulla leadership né le spinte neocentriste limitate al Parlamento ed inesistenti nel Paese. Oggi quegli elettori hanno bisogno di essere rappresentati. Semplicemente. Servono programmi concreti e chiari. Il federalismo fiscale, le liberalizzazioni nei trasporti e nella pubblica amministrazione, il potenziamento della legge Biagi, l’apertura alla concorrenza anche straniera, gli investimenti nella ricerca, la politica estera filo occidentale, la lotta senza riserve al terrorismo, le infrastrutture per ammodernare il Paese. La sinistra e i lacchè del Cavaliere lo chiamano berlusconismo. Io la considero una seria politica liberale per l’Italia.
L'Istat certifica l'eredità del Governo Berlusconi
Visti dal mondo
Prodi, who quit after a leftist revolt on foreign policy, scared wayward allies into backing him in the Senate on Wednesday with the prospect of conservative Silvio Berlusconi returning to power after just nine months out of government.
Despite the allies' promise of an internal truce, coalition troubles were spotted on the horizon even before the formalities end with an easy confidence vote in the lower house on Friday.
``With yesterday's vote the government crisis is over,'' said leftist union leader Guglielmo Epifani, readying for a fight over pensions. ``We await talks but we have no illusions that, if it was no walk in the park anyway, it now looks very uphill.''
The nine-party coalition has fought almost non-stop since coming to power in May with the slimmest election margin in post-war history, on anything from troops in Afghanistan and a U.S. military base at Vicenza to spending cuts and gay rights.
Some leftists are threatening revolt when parliament this month debates funding to keep NATO peacekeepers in Afghanistan. Prodi says Italy must respect its overseas commitments.
``NO REAL MAJORITY''
Another battle looms over a government bill granting rights to gay and unwed couples. Some coalition Catholics will object, fearing it could clear the way for gay marriages.
Leftists will come under union pressure to oppose reforms of a pension system which the European Union says a country with such an aging population cannot afford.
``Prodi will always have trouble because the votes are almost equal,'' said 67-year-old Rome pensioner Piero Noce. ''He'll have difficulty with pensions, health, Vicenza and peace missions.''
Gigi Roveda, a 58-year-old from Milan, said Prodi relied too much in parliament on a handful of unelected life senators who boosted his tiny elected majority in the confidence vote.
``They don't have a real majority, they rely on life senators who don't represent the political will of the people,'' he said.
Prodi promised to make it his ``absolute priority'' to reform an electoral system stacked against strong majorities which is blamed for the political instability that has plagued Italy for decades.
New evidence of an improved underlying budget deficit augurs well for Prodi's promise to bring the shortfall within EU guidelines this year. But he has done that partly with taxes that angered small business.
``With Berlusconi we couldn't make it to the end of the month, but with Prodi's new taxes we can't even make it through a fortnight,'' said Roveda, at his family's jewelry shop.